La Sindrome di Pollyanna fu descritta da M. Matlin e D. Stang nel 1978. Essa prende il nome dal famoso romanzo di E. H. Porter che racconta di un’orfana, cresciuta da una vecchia zia fredda ed austera, che, a un certo punto della storia, perde l’uso delle gambe a causa di un incidente. La bambina cerca di sfuggire a una vita dura e sfortunata con il suo gioco della felicità che consiste nel cercare di trovare, anche nelle peggiori difficoltà, il lato positivo della situazione e nell’adottare, sempre e comunque, un atteggiamento di ottimismo, buon umore e gentilezza.
Per Sindrome di Pollyanna si intende una prospettiva di felicità che la persona, di fronte a esperienze avverse e difficili, si impone forzatamente in modo falso, precostruito e preconfezionato come difesa per non voler soffrire. Consiste nell’indossare perennemente la maschera del sorriso qualsiasi cosa accada, anche quando fuori c’è l’inferno e dentro si è a pezzi.
Si tratta di un processo selettivo che coinvolge memoria, con la tendenza a ricordare cose e situazioni piacevoli più accuratamente di quelle negative e/o ad avere un ricordo più positivo dell’esperienza rispetto a quanto lo sia effettivamente stata nella realtà, nonchè la percezione, tramite la propensione a porre enfasi ed attenzione esclusivamente sugli aspetti buoni, favorevoli e vantaggiosi dei fatti ignorando e trascurando, nel contempo, quelli più problematici ed ostili.
In psicologia cognitiva si parla di ottimismo idiota, ottuso ed ingenuo perché ostinato e portato all’eccesso.
L’atteggiamento tipico di chi è affetto dalla Sindrome di Pollyanna si differenzia da un’adeguata ed utile visione fiduciosa e speranzosa con cui si può approcciare, in modo costruttivo, proattivo e positivo, la realtà, vedendo il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto.
Consiste, al contrario, in una fuga da essa per non affrontare il dolore e la sofferenza e per eludere i problemi della vita che, negati ed evitati, rimangono, non solo privi di un attribuzione di senso e di significato perché non elaborati, ma anche senza una soluzione.
L’esasperazione selettiva ed esclusiva degli aspetti positivi si accompagna al diniego, alla censura e alla rimozione di quelli negativi con un atteggiamento poco realistico ed efficace a fini adattivi in quanto escludente la valutazione dei rischi e dei pericoli insiti nella situazione.
È il vivere illusoriamente in una fiaba, con una visione infantile, idilliaca e distorta, frutto di un pensiero irrazionale quasi magico, precludendosi il confronto autentico con la realtà e la possibilità di crescere e maturare psicologicamente ed affettivamente che quest’ultimo permette.
È il rifugiarsi in un mondo dorato, percepito con lenti rosa, scollegato dall’esterno ed altamente riduttivo della complessità della realtà.
Chi soffre di Sindrome di Pollyanna è vittima di un pericolosissimo autoinganno, tende a ignorare le proprie emozioni di fronte alle difficoltà, agli ostacoli e ai fallimenti e a non ad attivarsi nella direzione di una soluzione e di un cambiamento personale e/o della situazione.
Queste persone, inoltre, possono avere problemi nelle relazioni con gli altri in quanto vissute come vuote, superficiali, false e non autentiche.
L’andrà tutto bene, da loro sbandierato ad ogni costo, invia agli altri messaggi di banalizzazione, scarsa empatia ed assenza di rispetto. In altre parole, gli individui che interagiscono con loro, spesso, non si sentono accolti, compresi ed aiutati nelle loro difficoltà.
È proprio in periodi di crisi come questo che si incorre nel rischio di cadere nell’atteggiamento estremistico di negazione e mistificazione della realtà tipico della Sindrome di Pollyanna, erroneamente convinti che sia di gran lunga migliore e più produttivo del negativismo e del pessimismo assoluti.
L’accettazione, in piena consapevolezza, della realtà e l’affrontare i suoi limiti ed ostacoli resta, invece, sempre la strada più utile ed efficace da percorrere ai fini della salute mentale e del benessere psicofisico.
Dott.ssa Cinzia Cefalo
