La rupofobia, termine che deriva dal greco rupos che significa sudiciume, è la paura persistente, irrazionale ed immotivata dello sporco.
Si tratta di una patologia che presenta caratteristiche e manifestazioni sia di un disturbo ossessivo compulsivo sia di una fobia.
Il soggetto che ne soffre percepisce, in modo esagerato, sproporzionato e non giustificato, l’ambiente come sudicio, non igienico e fonte di contaminazione.
Più nello specifico si parla di misofobia quando è il contatto con lo sporco a suscitare repulsione, avversione e timori patologici mentre per germofobia e sindrome di Pilato si intendono, rispettivamente, il terrore dei germi, la prima, e l’ossessione di lavarsi le mani, la seconda.
Per placare l’angoscia di essere sporcato e contagiato il rupofobico è costantemente impegnato a compiere veri e propri rituali di pulizia su di sè e sul suo contesto di vita: si lava continuamente le mani, fa un uso eccessivo di disinfettanti e prodotti per l’igiene, non riesce a fare a meno di indossare dispositivi di protezione quali guanti, mascherine, ecc… anche quando la situazione, realmente ed oggettivamente, non lo richiederebbe.
Mette, inoltre, in atto condotte di evitamento: si astiene dal frequentare determinati posti pubblici come, ad esempio, gli ospedali, declina il contatto fisico (schiva e rifugge strette di mano ed abbracci), si guarda bene dal partecipare alla maggior parte degli eventi di natura sociale che considera pericolosi e rischiosi, ecc…
Quando non riesce a eludere situazioni, luoghi e persone che ritiene sporchi, e perciò per lui infidi ed insicuri, reagisce con insofferenza, disagio e frustrazione provando sensazioni di ribrezzo, repulsione ed ansia fino a veri e propri attacchi di panico con sintomi quali tachicardia, affanno, sudorazione, nausea, tensione muscolare, ecc…
L’individuo rupofobico vive in uno stato perenne di allerta, totalmente incapace di rilassarsi, alle prese con vissuti di insicurezza, inadeguatezza ed insoddisfazione personali.
Limitata nelle sue attività e condizionata nelle sue scelte, la persona si trova a dover far fronte a pesanti e gravi ripercussioni nei diversi ambiti della vita quotidiana.
Le continue pratiche igieniche personali e le incessanti ed estenuanti faccende domestiche finiscono per occupare tutto il suo tempo, per esaurire le sue forze ed energie e/o per avere conseguenze anche serie sulla propria salute (intossicazioni, irritazioni, arrossamenti, dermatiti, lesioni ed infezioni cutanee sono, spesso, il risultato dell’uso smisurato e smodato di prodotti chimici per la disinfezione e la detersione del corpo, della casa e dell’ambiente lavorativo).
La fobia per lo sporco e la mania per la pulizia che caratterizzano chi è affetto da rupofobia possono sfociare in atteggiamenti ipocondriaci e condurre il soggetto a fare visite medici ed esami clinici più del dovuto e non necessari.
A livello sociale l’individuo conduce un’esistenza piuttosto ritirata ed isolata, impegnato com’è ad evitare qualsiasi contatto con gli altri, contatto da lui ritenuto rischioso per la possibilità di contagio ed infezione. In famiglia, complica e deteriora le relazioni coinvolgendo e costringendo tutti ai suoi rituali.
Tra le possibili cause alla base del disturbo si annoverano, spesso, conflitti psicologici interiori, una storia familiare di disturbo ossessivo compulsivo o di ansia, un’educazione rigida e severa, aspettative genitoriali esageratamente elevate, un eccessivo senso di responsabilità e/o bisogno personale di perfezione, ecc..
Il trattamento è psicoterapeutico combinato all’utilizzo, nei casi più gravi, di farmaci.
Tuttavia parlare di rupofobia, diventa oggi estremamente delicato e complesso e, se vogliamo, perfino paradossale ed ironico. Viviamo un momento di emergenza sanitaria in cui ci viene chiesto, come precauzioni volte ad evitare l’infezione da SARS-CoV2, di aumentare le pratiche igieniche (lavare spesso e bene le mani, disinfettare gli ambienti, proteggerci con mascherine e guanti, ecc…), di rimanere in casa, di aumentare la distanza interpersonale, di ridurre il contatto fisico con gli altri, di rinunciare a momenti di aggregazione collettiva, ecc.…, tutti comportamenti che, come abbiamo visto sopra, la persona che soffre di rupofobia adotta solitamente, in misura maggiore o minore a seconda dei casi, in modo spontaneo come reazione impulsiva inevitabile ai suoi stati emotivi interiori più che per l’esistenza di una effettiva minaccia esterna.
La limitazione delle attività, il condizionamento delle scelte, l’isolamento e il ritiro sociale rispondono, invece, in questo periodo di pandemia, alla necessità di doverci proteggere da un nemico davvero esistente, sconosciuto, pericoloso ed invisibile ma dagli effetti concreti e tangibili.
Il pericolo di contagio, altamente temuto da tutti, è, in tale caso, reale ed evidente: numerosi sono stati, infatti, i malati e i morti registrati negli ultimi mesi per COVID-19.
Una reazione di paura e preoccupazione è, pertanto, comune e normale. L’allerta sociale è elevata e giustificata ed è più facile del solito sconfinare, senza per questo necessariamente considerarci patologici, in atteggiamenti ansiosi e dai tratti tendenzialmente ipocondriaci, fobici ed ossessivi.
Il periodo complesso e difficile che stiamo vivendo ci avvicina, come risposta alla grave ed urgente situazione, a comportamenti che abitualmente non assumiamo e che, al contrario, siamo soliti considerare esagerati, non necessari, attribuendoli a individui meno equilibrati mentalmente.
Per evitare, ciononostante, di lasciarci coinvolgere nella facile psicosi collettiva e di incorrere in gesti ed azioni sproporzionati, inutili quando non addirittura controproducenti e lesivi per sé e per gli altri, è sempre opportuno mantenere un atteggiamento di calma accettazione di ciò che sta succedendo evitando il panico e superflui ed eccessivi allarmismi.
A tal fine assume estrema importanza informarsi ed aggiornarsi attraverso valide fonti ufficiali sottraendosi a fake news e notizie dal carattere terroristico e, se pur nell’adozione di tutte le precauzioni necessarie, restrizioni e limitazioni comprese, continuare a svolgere la propria esistenza evitando di vivere esclusivamente di COVID-19.
Dott.ssa Cinzia Cefalo
