
Fare ‘selfie’ (termine inglese comunemente usato per descrivere un autoscatto) è, al giorno d’oggi, pratica e consuetudine diffusissima. Tutti noi abbiamo fatto, e facciamo continuamente, ricorso a dispositivi vari per fotografarci in momenti piacevoli e divertenti che vogliamo ricordare.
In alcuni casi, tuttavia, l’abitudine a fare selfie, il più delle volte tramite smartphone, per poi postarli sui social, si rivela una vera e propria mania tanto che nel 2014 fu introdotto il termine ‘selfite’ per descrivere gli aspetti ossessivo compulsivi che tale comportamento può arrivare ad assumere.
A conferma di ciò, qualche anno dopo, un team di psicologi britannici, guidati da M. D. Griffiths e J. Balakrishnan, condusse una ricerca in India, paese con il numero più alto di iscritti a Facebook ma anche di morti per selfie pericolosi.
Attualmente l’A.P.A. (American Psychological Association) considera la ‘selfite’ un disturbo mentale che classifica in:
– borderline (il soggetto è solito fare più di tre autoscatti al giorno, senza, tuttavia, avvertire necessariamente il bisogno di postarli tutti e/o sempre),
– acuto (la persona pubblica quotidianamente almeno tre selfie al giorno),
– cronico (il selfier fa autoscatti 24 ore su 24 e li posta più di sei volte al giorno).
Per verificare se si soffre di selfite e a quale livello esiste la scala di valutazione usata da Griffiths e Balakrishnan nella loro ricerca. Per ognuna delle 20 frasi, sotto elencate, si risponde dando un punteggio da 1 (totalmente in disaccordo) a 5 (totalmente in accordo).
Gli items delle scala sono:
1. Fare un selfie mi dà la sensazione di poter apprezzare di più l’ambiente in cui mi trovo;
2. Condividere i miei selfie crea una sana competizione con i miei amici e colleghi;
3.Ottengo molta attenzione condividendo i miei selfie sui social network;
4. I selfie riducono il mio livello di stress;
5. Mi sento sicuro quando faccio un selfie;
6. Sono più apprezzato dai miei coetanei quando mi faccio dei selfie e li condivido sui social;
7. Riesco ad esprimere meglio me stesso nel mio ambiente attraverso i selfie;
8. Assumere pose diverse nei selfie mi aiuta ad accrescere il mio status sociale;
9. Mi sento più popolare quando pubblico i miei selfie sui social;
10. Farmi più selfie migliora il mio umore e mi rende felice;
11. Divento più positivo quando mi faccio dei selfie;
12. Divento il membro più forte nel mio gruppo grazie ai post con i selfie;
13. Farsi dei selfie fornisce ricordi migliori sull’occasione e sull’esperienza;
14. Carico spesso dei selfie per ottenere più “Mi piace” e commenti sui social;
15. Quando pubblico dei selfie, mi aspetto che i miei amici mi valutino;
16. Scattarmi dei selfie cambia immediatamente il mio stato d’animo;
17. Mi faccio molti selfie e li guardo privatamente per aumentare la mia autostima;
18. Quando non mi scatto un selfie, mi sento isolato dai miei coetanei;
19. Considero fare i selfie come dei trofei per i futuri ricordi;
20. Uso strumenti di fotoritocco per migliorare il mio selfie in modo da apparire migliore agli occhi degli altri.
Ora, se sommando i punteggi attribuiti a ciascuna affermazione, si totalizza un punteggio da 0 a 33 si appartiene alla categoria borderline. Se, invece, si registra un punteggio tra 34 e 67 si è dei selfier acuti. Infine, se il punteggio rientra tra 68 e 100, molto probabilmente, ci si trova davanti a selfite cronica.
Soprattutto in quest’ultimo caso, si assiste, nello specifico, a una reale ed effettiva forma di dipendenza con comparsa di sintomi di astinenza in caso di impossibilità a scattare e pubblicare on line i selfie.
La persona avverte la continua ed irrefrenabile necessità di far vedere a tutti, in ogni attimo e situazione della giornata, in qualsiasi luogo, cosa sta facendo pubblicando foto nelle pose più diverse, pure strane e pericolose.
Dietro tale comportamento si cela, spesso, il bisogno, in un soggetto insicuro e con scarsa autostima, di ricevere attenzioni e conferme per autoaffermare e compensare, in modo superficiale, formale, illusorio e falso, purché socialmente desiderata, un’identità fragile e problematica.
Non di rado, dietro l’ossessione per i selfie, si nascondono senso di vuoto, ansia, vissuti depressivi nonché difficoltà personali e relazionali.
Il soggetto, alla ricerca di riconoscimento ed approvazione dall’esterno, tende, con i suoi selfie, a conformarsi alle richieste e alle aspettative sociali per ricevere il maggior numero possibile di like da cui finisce per dipendere la propria percezione e valutazione di se stesso.
In una sorta di narcisismo digitale, l’individuo ha bisogno, per esistere, di esibirsi ed apparire.
Nei casi più gravi, il selfier arriva a perdere totalmente la sua intimità e, a volte, anche dignità, a trascurare il lavoro, la scuola e le relazioni familiari ed amicali, a mettere a rischio la propria vita per il bisogno di protagonismo con selfie in condizioni estreme e pericolose, a causarsi addirittura la morte (sia per incidenti sia per tentativi di suicidio quando non riesce più a gestire e a liberarsi dalla situazione e/o fallisce nella sua ricerca del consenso, del successo e del selfie perfetto).
Si rende, allora, necessario un adeguato trattamento psicoterapeutico.
Dott.ssa Cinzia Cefalo