La formazione reattiva è un meccanismo di difesa che consiste nel trasformare alcuni contenuti psichici in tendenze ed comportamenti opposti.
Consiste, cioè, nel convertire un sentimento angoscioso, un’emozione dolorosa e/o un impulso indesiderato nel suo opposto attraverso la manifestazione e l’espressione di atteggiamenti totalmente contrari, spesso meno conflittuali e penosi, più adeguati al contesto, approvati socialmente e, quindi, meno imbarazzanti o pericolosi per l’individuo che li prova.
Si tratta di un meccanismo psichico normale e comune, con funzioni positive ed adattive quali quelle di moderare conflitti e tensioni interne, prevenire l’angoscia, mantenere l’autostima e l’integrità personale.
Qualche volta viene usato in maniera cosciente ed intenzionale dall’individuo (quello che Freud chiamava allusione attraverso contrario). Il più delle volte, tuttavia, il suo utilizzo avviene inconsciamente, senza alcuna volontà e/o controllo da parte del soggetto.
Per fare degli esempi è il caso degli atteggiamenti iperprotettivi dei bambini nei confronti dei fratelli appena nati, atteggiamenti dietro ai quali si celano, spesso, intensi vissuti di gelosia; quello di gesti eccessivamente complimentosi che, non di rado, nascondono sentimenti di invidia o di comportamenti estremamente pudici che mascherano, di frequente, desideri esibizionistici incontrollabili, ecc..
Ancora la modestia esagerata può, alcune volte, indicare elevata ambizione così come la smisurata gentilezza può coprire atteggiamenti sadici ed aggressivi verso l’altro.
In poche parole, nella formazione reattiva è in opera un vero e proprio controinvestimento affettivo che rovescia e camuffa, attraverso comportamenti di copertura, la vera natura di ciò che la persona sperimenta in quel dato istante.
Utilizzato pervasivamente e rigidamente, tale processo psichico rischia di diventare patologico.
Si ritrova, infatti, in molti disturbi nevrotici, in particolare in quello ossessivo compulsivo.
L’uso eccessivo e massiccio di questo meccanismo finisce, infatti, per esprimere un tentativo, da parte del soggetto, di controllo, da un lato, e di rifiuto, dall’altro, della complessità e della ricchezza dei vissuti emotivi con conseguente negazione dell’umana ambivalenza emotiva. Ne derivano inevitabilmente un inaridimento e un impoverimento della vita affettiva e relazionale dell’individuo.
Dott.ssa Cinzia Cefalo