Come un pò tutti sappiamo, lo psicologo, durante lo svolgimento del suo lavoro, ha l’obbligo di mantenere strettamente il segreto professionale. Si tratta di un vincolo non solo etico e morale ma dal carattere giuridico la cui contravvenzione viene punita penalmente.
L’art. 11 del codice deontologico afferma che lo psicologo è tenuto a non rivelare notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né ad informare circa le prestazioni professionali effettuate o programmate.
Ancora, l’art. 12 prevede che lo psicologo si astenga dal rendere testimonianza di fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale e che possa derogare all’obbligo del segreto professionale esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione.
Anche in quest’ultimo caso valuta l’opportunità di fare uso di tale consenso considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
A tal proposito parla, in ogni modo, di un consenso informato, sottoscritto e firmato dal soggetto, come quello concernente la raccolta, attraverso diverse modalità (appunti scritti, videoriprese, registrazioni audio, ecc.), dei dati intimi e sensibili della persona. Questi ultimi devono essere protetti e custoditi dal professionista con cura e conservati fino a 5 anni dopo la fine del rapporto professionale (art. 17).
Gli articoli 15 e 16 ribadiscono il concetto di tutela della privacy anche nelle situazioni di collaborazione con altri professionisti o quando lo psicologo redige comunicazioni scientifiche: in entrambi i casi è richiesto il rispetto dell’anonimato del paziente.
Tutta ciò fa sì che chiunque si rechi da uno psicologo si senta libero e fiducioso di aprirsi e di rivelare dettagli intimi importanti della sua vita passata e presente, ben consapevole che resteranno lì e verranno utilizzati esclusivamente per finalità professionali.
In alcune situazioni, tuttavia, la legge prevede una deroga al segreto professionale ed impone allo psicologo l’obbligo di referto e di denuncia dei fatti.
A tal riguardo esiste una differenza tra lo psicologo libero professionista e quello che lavora nel settore pubblico (A.S.L., ospedali, ecc.).
Quest’ultimo, essendo un pubblico ufficiale, ha l’obbligo di denuncia e di rapporto per tutti i reati perseguibili d’ufficio di cui viene a conoscenza nel corso del rapporto professionale e non solo (per esempio durante una chiacchierata informale fuori dallo studio). Per reati perseguibili d’ufficio si intende quelli punibili anche senza denuncia della parte lesa quali, per citarne qualcuno, l’omicidio, l’istigazione e l’aiuto al suicidio, le lesioni personali gravissime, la violenza sessuale di gruppo, il sequestro di persona, la prostituzione minorile, ecc..
Da ricordare che alcuni reati, anche piuttosto gravi, diventano perseguibili d’ufficio solo in presenza di aggravanti, come nel caso delle lesioni personali o della violenza sessuale.
Da tale obbligo è esonerato il libero professionista nel caso in cui così facendo esporrebbe il paziente ai rischi di un processo penale e se stesso o un proprio congiunto a un possibile danno fisico o morale.
Per fare un esempio, se un adulto, nel corso di un trattamento, rivela a uno psicologo che opera nel privato di aver perpetuato abusi sessuali ai danni di un minore, il libero professionista dovrà astenersi dal denunciare il fatto visto che la persona, in conseguenza di ciò, subirebbe un procedimento penale.
Se, invece, è il minore a confessare una violenza sessuale subita da un adulto lo psicologo è tenuto a procedere alla denuncia e al referto.
Il libero professionista è, però, sempre obbligato a denunciare all’Autorità Giudiziaria reati contro la personalità dello Stato italiano (eversione o attentati) o che prevedano come pena l’ergastolo (ad esempio l’omicidio in presenza di aggravanti).
Tuttavia, anche nel caso di referto o denuncia lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale ai fini della tutela psicologica del soggetto (art. 13).
Negli altri casi valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o la salute psicofisica del soggetto o di terzi (come nel caso in cui la persona continui ad avere condotte estremamente violenti o di abuso nei confronti di un minore).
Bisogna dire che si tratta di un tema piuttosto complicato e controverso che presuppone conoscenze giuridiche specifiche che quasi sempre gli psicologi non possiedono e che, quindi, richiede particolare attenzione e delicatezza. Il rischio è quello di contravvenire in maniera errata all’obbligo del segreto professionale rischiando di avere gravi conseguenze penali e di inficiare ed invalidare la relazione terapeutica con il paziente.
Dott.ssa Cinzia Cefalo